A far di conto col Lupo del basket che si è dato alla danza

1 Mar

di Marco Massetani

Sono passati trent’anni, sembrano canestri distanti anni luce. In serie A si tesseravano due stranieri, i club sopravvivevano grazie all’imprenditoria etica del territorio, la palla a spicchi rimbalzava nelle grandi città. E tutto sul parquet scorreva molto lento, anche un’entrata ruvida ed elaborata di terzo tempo. “Mi prendevate in giro, lo so, ma oggi in NBA va di moda e si chiama ‘eurostep’, anche perché alla fine più tempo giri per l’area con la palla in mano e più è probabile che due tiri liberi li porti a casa” ci scherza su Stefano Andreani, classe 1957, il ‘Lupo’ cesenate che per cinque stagioni (dal 1987 al 1991) ha legato il proprio nome all’età dell’oro della pallacanestro fiorentina. Quando la Neutro Roberts si batteva con le grandi d’Italia e il PalaGiglio impazziva per le acrobazie di J.J Anderson, per l’esplosività di John Ebeling e Clarence Kea, per le intuizioni sapienti di Valenti, Mandelli, Sonaglia e di ‘Lupo’ Andreani, ala-pivot esperta e spigolosa, un eccellente tiro dal perimetro e tanta, tanta sostanza difensiva. “Era una squadra formata da gente con grande tecnica e intelligenza tattica, il gioco veniva fuori fluido, bello a vedersi – ricorda Andreani – E poi avevamo un allenatore ideale, Rudy D’amico, che non ci stressava semplicemente perché non ce n’era bisogno. Il clima in spogliatoio era unico, in campo mai un tiro forzato, mai nessuno che si elevasse a primadonna. Era più probabile che si desse la palla a chi quella sera non era in fiducia per fargliela prendere, la fiducia. Sono stati anni straordinari, vissuti nella città più bella del Mondo”.

Una città talmente bella che finisce per catturare Stefano ‘Lupo’ Andreani anche dopo il suo addio al basket di alto livello. “Ho cominciato a fare pratica da commercialista mentre giocavo, non ero nemmeno laureato in Economia e Commercio – continua – A Firenze, sempre durante la carriera da cestista, ho dato l’esame di Stato, e sono entrato in uno studio di professionisti tra i più qualificati, prima come collaboratore poi come socio. Sono stato fortunato a giocare negli anni migliori della pallacanestro italiana, vigeva un semi-professionismo dove giravano soldi sufficienti per poter fare le cose sul serio e dove l’impegno richiesto era tale che con un po’ di sacrificio trovavi anche il tempo per studiare. Certo, entrare nel mondo del lavoro a 34-35 anni ha significato perdere molti treni, ma quello che non mi aspettavo, nei primi anni di professione, è di essere stato praticamente costretto a tenere nascosto il mio passato da giocatore di serie A. Perché in Italia la mentalità è che, se hai fatto sport ad alto livello, sei uno che mentre gli altri studiavano si divertiva guadagnando soldi facili, e quindi professionalmente poco affidabile. Esattamente il contrario della mentalità USA. Il mio lavoro? E’ splendido, perché c’è dentro tutto, lo studio, la matematica, l’aggiornamento, l’informatica, il rapporto con le persone. Devi dialogare con l’istruttore, il dirigente sportivo, l’avvocato e il magistrato, e adeguarti quindi ai tuoi interlocutori con una mentalità e un linguaggio sempre diversi. E poi c’è l’insegnamento, dai corsi per colleghi o dirigenti sportivi ai sabati mattina nelle scuole superiori, che è la parte che mi diverte di più. Dopotutto, sono sempre stato un chiacchierone…”.

Oggi lo studio Andreani – piccolissimo (“ho due dipendenti, straordinarie”) ma collegato in rete con alcuni dei migliori studi italiani – si occupa prevalentemente di concorsuale e sport dilettantistico. “Sono le branche nelle quali mi sono specializzato – spiega – Nel concorsuale affronti situazioni difficili e cerchi soluzioni: c’è modo e modo di portare una società a una procedura, come pure di gestirla, e ti rendi conto che il tuo lavoro ha un significato. Lo sport dilettantistico è invece un mondo che apprezzo perché è divertente e riveste una funzione sociale fondamentale. Sia per le società che fanno agonistica che per quelle (penso ad esempio alle piscine, alle scuole di danza o di yoga) nelle quali lo sport è tutela della salute, socialità, aggregazione. Un mondo che ha compreso che, nella parte amministrativa e fiscale, il tempo degli amici che davano una mano era finito, e che servivano figure professionali”.

E il basket dov’è? “Dopo la serie A ho giocato alcuni anni nelle serie minori – conclude – Prima in D con il Firenze 2, poi in Promozione con un gruppo di amici nella Bad News Basket. Ho chiuso a 54 anni con i Butchers di Legnaia in Uisp. Alla fine ho avuto un problema al tendine d’Achille e, seguendo un consiglio medico di trent’anni prima, mi sono dato alla danza latino-americana. Ho scoperto un ambiente allegro, solare e molto più ‘serio’ di quanto si possa pensare. Non ho propriamente l’altezza e l’agilità del ballerino? Se ho avuto il coraggio di presentarmi con il mio fisico e con il mio scarso talento sui parquet più importanti d’Italia, mi sono detto, posso tentare anche con il ballo…”.

Corriere Fiorentino, 1 marzo 2021

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